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Gita d'autunno nelle Marche indietro

I colori dell'autunno nelle Marche

Testo di  CARLA CONTESSI                                                              foto di LELIO SUPRANI


Dopo due giorni di forte maltempo, nessuno si aspettava una così bella giornata.
Anzi, la pioggia aveva ripulito l'aria e le foglie che spiccavano gialle, arancioni, marroni sul verde cupo dei sempreverdi.
A Pergola, al museo dei Bronzi dorati, si possono ammirare i clichè e le belle incisioni su carta fatta a mano da un artista moderno: Walter Valentino.
La guida ci illustra la travagliata storia dei bronzi.
Trovati, in modo fortuito, nel 1946 i 318 frammenti di bronzo (9 quintali) volutamente rotti e sepolti in una buca poco profonda, furono prima portati ad Ancona, poi a Firenze per il restauro e la ricostituzione finita nel 1994.
È un gruppo unico al mondo (paragonabile al Marco Aurelio di Roma o ai cavalli di San Marco) costituito da due figure femminili e due cavalli con relativi cavalieri.
Sono giunti a noi così poche statue di questo genere, perché spesso venivano rifuse per utilizzare il metallo.
Molti sono i misteri che avvolgono il monumento.
Perché sono stati rotti volutamente? Chi è la famiglia rappresentata?
Sono state fatte alcune ipotesi: la famiglia (della gens Claudia?) era stata condannata alla “damnatio memoriae”?
Il gruppo è stato saccheggiato per riutilizzare il metallo e rotto perché troppo ingombrante? Sono stati i barbari?
I frammenti mancanti sono stati portati via per rifonderli?
Il cavaliere ben conservato ha il braccio destro alzato in segno di pace.
Le teste dei cavalli non sono state danneggiate forse perché i medaglioni rappresentanti divinità li hanno in qualche modo protetti.
Dove era esposto il monumento? C'erano molti municipi romani vicini e nei pressi c'era anche una fonderia.
La doratura si è conservata forse perché il gruppo non è mai stato esposto all'aperto o era al riparo.
Dal 1999 il monumento è esposto in una sala a temperatura costante.

 

 
 

 

 

 

 

 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Nel museo sono in mostra due bei mosaici pavimentali romani, delle monete, due paliotti d'altare dorati e un bel polittico con la Madonna al centro e quattro Santi e inoltre statue lignee di pietra molto belle.

 

 

 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Durante il tragitto verso Fonte Avellana, l'accompagnatore ci fa notare che, dopo le dolci colline cantata da Leopardi, il paesaggio si fa più aspro, perché ci avviciniamo al Monte Catria alle cui pendici si trova l'eremo fondato nel 980 da San Romualdo, perché nei pressi c'era una sorgente. Il nome deriva dall’ abbondanza di noccioli (avellani) che c'era nella zona.

 

 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Sopra l'ingresso, su una lastra di marmo, sono incisi alcuni versi del Paradiso (XXI canto) di Dante che probabilmente è passato da qui. Altri Santi famosi qui furono San Pier Damiano è Sant'Albertino del XIII secolo che è qui sepolto.
Nello scriptorium, venivano ricopiati a mano i testi che ore sono conservati a Roma.
Lo scriptorium è orientato in modo da avere la massima luce e funziona come una meridiana che doveva essere sul pavimento.
Dopo l'invenzione della stampa, lo scriptorium non serviva più, vennero murate le monofore in alto, aperte sei finestre in basso e divenne la cucina del monastero.
Oggi il monastero ospita sette monaci, ma ne ha ospitato fino a 35 – 40, è una sala per conferenze e convegni di studio.
Adiacente c'era il laboratorio dove si fabbricava la pergamena, l'inchiostro, i colori per le miniature e si rilegavano i codici; poi divenne la dispensa della cucina.
Alle pareti sono esposti grandi quadri ad olio che riproducono i personaggi del Vangelo secondo Matteo di Pasolini.
Una rapida occhiata alla biblioteca del Settecento che contiene libri di carattere umanistico e storico, pochi di carattere scientifico consultabili su richiesta.
Attraversiamo il Chiostro dell’ XI secolo di stile romanico, ma anche con archi ogivali di ispirazione araba. Qui i monaci passavano per accedere alla cripta.
C'è ancora la ruota che serviva a ricevere le offerte per i pellegrini.
Su una porta di fine 500 sono intagliati molti stemmi, tra gli altri quello di Classe con le due colombe simbolo della vita eremitica e cenobitica; in alto angeli, in basso demoni.
Vediamo i resti di un lavello che era stato murato e che, riscoperto, mostra le sinopie della fonte e porta la firma dell'architetto Gattapone Eugubino.
Nella sala capitolare (così chiamata perché i monaci prima della riunione leggevano un capitolo della regola di San Benedetto) ci sono tre monofore verso est.
Tutte le vetrate del monastero sono state donate da una famiglia fiamminga e costruite in Germania: hanno una simbologia molto complessa e, pur essendo moderne, si integrano bene nell'antica struttura, per la loro sobrietà.
La sala fu poi utilizzata come legnaia.
La cripta, scavata sotto terra, è una chiesa romanica, l'altare, in pietra calcarea, è costituito dalla mensa che rappresenta la chiesa, sostenuta da una colonna centrale (il Cristo) e da quattro pilastrini (gli Evangelisti).
La chiesa superiore è romanica con archi ogivali d'ispirazione gotica, c'è una parte bassa e un presbiterio sopraelevato con l'altare e un coro ligneo neoclassico.
Ai lati due altari del ‘600 in cui sono le spoglie di Sant Alberino e una statua di cera di Santa Vittoria.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo una piacevole pausa pranzo, durante il tragitto verso Mondavio, la guida ci parla delle Marche, (chiamate anche piccola Italia per la varietà dei suoi paesaggi: mare, colline, montagne).

 

 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Patria di personaggi illustri (Raffaello, Rossini, Leopardi, Pio IX) e ricco di parchi naturali (Monte Catria, Sibillini ecc.). Il mare vanta molte bandiere blu. Famose le grotte di Frasassi e di Osimo. Artigianato tipico le fisarmoniche di Castelfidardo e le cartiere di Fabriano, mobilifici, scarpifici.
Importante il carnevale di Fano.
Belle Gradara, Loreto, lo sferisterio di Macerata e Candelara.

La Rocca roveresca di Mondavio, costruita su progetto dell'architetto Martini, è una fortezza possente, con mura rotonde o oblique, per deviare le palle dei cannoni.
Alta 5 piani, è attraversata da un pozzo che rende autonomi per 60-70 giorni in caso di assedio. Nel 1600 la famiglia dei della Rovere si estinse e la Rocca passò allo Stato Pontificio che la utilizzò come carcere. Sulle pareti sono visibili tracce lasciate dai prigionieri. Le porte hanno lo spioncino.
Durante la guerra fu abitata da sfollati e dal 1960 è un museo di rievocazione storica.
All'interno delle sale, sono presenti manichini con i costumi dell'epoca.
Nella sala conviviale è allestito un banchetto (che durava dalla mattina fino a tutta la notte): i menù erano a base di cacciagione e preparazioni in agrodolce.
Si mangiava con le mani e alcune ancelle portavano bacili d'acqua per pulirle.
Il camino è originale, mentre gli altri mobili sono rifatti.
Poi funzionò da aula del tribunale da dove i condannati uomini salivano al maschio, e le donne scendevano nei sotterranei.
Passiamo davanti alla camera delle torture (tratti di corda) e arriviamo al quinto piano: il maschio ora coperto, ma all'epoca senza tetto dove stavano le guardie.
C'erano tre linee di tiro, rasoterra, a metà e in alto.
Un vetro protegge l'accesso a una scala chiamata doccia mortale, perché, nel caso i nemici fossero riusciti a penetrare, da qui venivano bloccati con ogni sorta di armi, pece bollente ecc.
In una sala è esposta una collezione privata di armi bianche: lance, alabarde, asce, una armatura piccola (l'altezza media per gli uomini era di 150 cm e a 40 anni erano vecchi).
Esternamente postazioni di bombarde, archibugi da cavalletto.
Il Torrione esterno è a forma di balestra.
La balestra era un'arma più lenta dell'arco, ma micidiale: i dardi penetravano le corazze ed erano anche avvelenati.
Passiamo alla cucina col forno per il pane, i servi a tavola, con un menù povero: zuppa di cipolle e legumi, carne (poca) di maiale.
In basso una scuderia, la cella per le munizioni che conteneva i barili della polvere da sparo e che con una carrucola mandava i proiettili e la polvere a tutte le linee di tiro.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Infine, per finire in bellezza, subito fuori dal castello visitiamo il teatro Apollo: uno dei piccoli teatri della zona restaurati, costruito con due ordini di palchi a metà del 1600 dove c'era una chiesa di cui mantiene alla struttura rettangolare.
Nel 1800 venne raggiunto il terzo ordine di palchi fino a raggiungere 120 posti.
Ora, con le nuove norme di sicurezza, i posti sono 60.
Fu anche utilizzato come cinema e, dopo l'ultima guerra, restò chiuso per 50 anni. È stato riaperto nel 2010.
Sul soffitto è raffigurato un velario dipinto con al centro Apollo.
Vi vengono anche celebrati i matrimoni civili e ha un ricco programma.
Quando usciamo, è buio, attorno i piccoli paesi illuminati sembrano presepi e noi siamo molto contenti di questa gita.

 

 


 

 

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